Pubblicato originariamente su globalist.it.
Nella fotografia Robert Mapplethorpe perseguiva la ricerca della purezza estetica e il rigore formale. In altre parole la perfezione. Ovvero, tutto quello che non c’è nella vita reale. E in particolare nella sua, una vita vissuta nella New York trasgressiva degli anni Settanta e Ottanta, in cui l’arte coincideva con l’esistenza condotta lungo i limiti della sperimentazione sessuale e delle droghe, in un ambiente in cui si mischiavano artisti, musicisti ad attori teatrali, di film pornografici e di performance. E dove tutto accadeva su un palcoscenico creativo d’eccezione quale era quello della metropoli newyorchese fra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, fucina creativa in cui convivevano i New Dada di Rauschenberg e Andy Warhol con la Factory, i Velvet Underground e i Talking Heads, la street-art in chiave pop di Keith Haring e quella in versione pittorica post-moderna di Jean-Michael Basquiat.
Il corpus del lavoro fotografico di Mapplerthorpe rappresentato da 178 fotografie in prestito dall’omonima Foundation di New York, è in una mostra in questi giorni alla Fondazione Forma, fino al prossimo 9 aprile 2012.
Chi non conosce il suo lavoro potrà vederlo rappresentato nei principali elementi tematici, ovvero l’eros, il corpo, la trasgressione sessuale vissuta nella puritana America reaganiana, fra opere che rappresentano una ricerca vissuta nell’ossessione della perfezione (la natura morta, il ritratto) e immagini che incarnano visivamente la sua storia e quella dei personaggi che appartenevano alla sua cerchia. Fra queste opere si colloca la serie degli autoritratti, come quello dell’artista giovane, che ha appena acquistato la prima polaroid, o quello dell’uomo maturo alla ricerca ambigua di un’identità sessuale – nell’immagine in cui è truccato e vestito da donna. La serie degli autoscatti, che semplifica il carattere molteplice, alla ricerca di un’identità pur nella continua sperimentazione, si chiude con quello dell’artista in lotta per non soccombere alla malattia – l’AIDS, che lo uccise nel 1989 – nella celebre foto in cui il suo volto scarnificato non è dissimile dal teschio incastonato sul manico del bastone che impugna.
Nelle foto in mostra vediamo in una magnifica rappresentazione i principali temi della sua arte: fra questi la venerazione per il corpo, sia maschile che femminile, nella selezione di opere che hanno oggetto bellissimi modelli neri, oppure la campionessa americana di culturismo, Lisa Lyon. In queste immagini lo sguardo di Mapplethorpe rappresenta una bellezza fisica che, attraverso un sofisticato gioco di luci ed ombre, non smette di rivaleggiare con i modelli della statuaria classica, nei suoi più nobili riferimenti, quali Discobolo di Mirone o il Michelangelo dei Prigioni. Perché nonostante la fotografia sia il mezzo più rapido per fare arte, la sua arte preferita, aveva dichiarato, era la scultura.
Nessun fotografo è stato capace di amare e vedere il corpo maschile come ha fatto lui, cogliendolo in tutta la sua forza potenziale e sensualità trattenuta. Capolavori per il nitore estetico e formale sono le immagini dei membri maschili, fra cui quella del fallo che occhieggia dalla patta dei pantaloni di un uomo perfettamente vestito, o lo scatto in cui un membro e una pistola sono accostati: sotto la perfezione si nasconde una vitalità che non rinuncia mai alla provocazione.
E poi in mostra la celebre serie di ritratti dedicati a Patti Smith, sua compagna di arte e di vita prima che scoprisse la sua omosessualità, per la quale realizzò la copertina di uno dei suoi primi dischi: per Mapplethorpe la cantante è l’unica autentica rappresentazione del femminile, nelle vesti una perfetta musa classica. E in una mostra che, attraverso i 178 lavori, testimonia le brillanti capacità di artista a tutto tondo, sia quando si cimenta nel ritratto di celebrities, che in quello di bambini, la perfezione più alta della sua ricerca è raggiunta nel genere della natura morta: gli scatti delle calle e dei fiori sono l’espressione più alta della e classica fotografia contemporanea.