Le Affinità Elettive, intervista doppia a Giovanni Gastel e Ettore Molinario

Un’immagine della mostra Le Affinità Elettive di Giovanni Gastel ed Ettore Molinario. © tspace, courtesy Galleria Rossella Colombari.

Pubblicato su FPmagazine.eu nel dicembre 2016.

 

La Galleria Rossella Colombari di Milano ospita fino al 30 gennaio 2017 una mostra intitolata Le Affinità Elettive, in cui, in un ambiente che ospita raffinati oggetti di design d’autore, le opere della collezione Molinario e una selezione di fotografie di Giovanni Gastel, è stata ricreata idealmente la casa del collezionista. In uno spazio in cui i rimandi fra fotografie e oggetti sono orchestrati fino a costruire a livello visivo il concetto delle affinità elettive, e fra artista e collezionista e fra opera e oggetto, si mette anche in scena per la prima volta il rapporto creatosi fra Ettore Molinario collezionista e Giovanni Gastel autore e maestro indiscusso della fotografia italiana.
Ho intervistato Giovanni Gastel ed Ettore Molinario tramite un’intervista doppia per comprendere meglio il concetto de Le Affinità Elettive applicato al loro rapporto. Leggi tutto “Le Affinità Elettive, intervista doppia a Giovanni Gastel e Ettore Molinario”

Giotto L’Italia

Giotto, Polittico di Badia
Giotto, Polittico di Badia

E’ in corso a Palazzo Reale di Milano fino a fine ottobre, la mostra – evento di chiusura della stagione artistica milanese dell’anno di Expo, Giotto L’Italia. L’ esposizione, posta sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica Italiana, promossa dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e dal Comune di Milano – Cultura, con il patrocinio della Regione Lombardia, è prodotta e organizzata da Palazzo Reale e dalla casa editrice Electa, con un progetto scientifico di Pietro Petraroia e Serena Romano. Leggi tutto “Giotto L’Italia”

Il genio di David LaChapelle in mostra a Lucca

Originariamente pubblicato su Globalist.it.

David LaChapelle, Angelina Jolie: Lusty Spring, 2001
David LaChapelle Angelina Jolie: Lusty Spring, 2001 C-Print, 127 x 152,4 cm © David LaChapelle, Courtesy of Fred Torres Collaborations, New York

Eccessivo, ridondante; ma anche geniale, visionario, surrealista. Ossessionato dalla cultura pop, marca espressiva di tutta la cultura contemporanea, come dalla perfezione estetica, che ricrea entrambe negli scenari apparecchiati ad hoc, nei quali la visione d’insieme si scompone nella cura maniacale per i dettagli, in un barocchismo linguistico – visivo che o si ama o si odia.

LaChapelle non è un fotografo da mezze misure. Ben oltre la fotografia di moda e i suoi clichès, che pure ha ampiamente praticato nelle numerosissime collaborazioni con riviste come GQ, Vanity Fair, Vogue, Homme, Rolling Stones, la sua è vera e propria arte dell’immagine, che vive nello spazio limite che l’artista apre fra banalità dello stereotipo pop e genialità dell’invenzione ironica e surreale. Non a caso ha esordito negli anni Ottanta grazie al padrino dell’arte pop all’apice della sua visione commerciale quale era il grande Andy Warhol.

Piaccia o non piaccia, David LaChapelle è uno dei più celebri fotografi contemporanei.

Lo potete vedere a L.U.C.C.A. Center for Contemporary Art fino al 4 novembre 2012 in una mostra che raccoglie ben 53 scatti, scelti fra i principali nuclei tematici della sua produzione, raccontata in 10 serie, fra cui Star System, Deluge (Awakened), EarthLaughs in Flowers, After the Pop, Destruction and Disaster, Excess, Plastic People, Dream evokes Surrealism, Art References e Negative Currency.

Anche se oggi la sua produzione fotografica si è fatta più impegnata – secondo lo spirito dei tempi – e più raffinata – in un abile gioco di riferimenti alla cultura classica – la sua produzione più interessante si ritrova nei ritratti delle celebrities. In queste opere la verità dei personaggi si fa funzionale ad una visione che spesso va oltre il limite della spregiudicatezza e della provocazione, e tocca momenti di invenzione geniale.

Marlene Dumas a Milano: una mostra poco riuscita

Pubblicato originariamente su Globalist.ch.

Marlene Dumas, 2011, Ecce Homo
Marlene Dumas, 2011, Ecce Homo, olio su tela, 200x 100, courtesy collezione privata

Al Palazzo delle Stelline a Milano sono in mostra, dal 13 marzo al 17 giugno 2012, una quindicina di opere dell’artista sudafricana Marlene Dumas: l’esposizione comprende nuclei di opere della sua produzione più recente, di cui alcune appositamente realizzate per lo spazio dell’ex collegio delle orfane delle Stelline, altre tratte dalla mostra londinese intitolata Forsaken e altre che sono ispirate a personaggi che per l’artista incarnano l’identità italiana, fra cui Pierpaolo Pasolini, e l’Anna Magnani di Mamma Roma. Nella mostra l’artista, distaccandosi dall’erotismo declinato al femminile che ha caratterizzato la sua produzione più celebre e richiesta, approfondisce il tema della sofferenza e dei destini ad essa legati, sintetizzati nell’immagine iconica del Cristo Crocifisso.

Il talento dell’artista olandese è innegabile ed evidente nella capacità di dipingere con pennellate sottili, che ricordano quasi più la tempera che l’olio vero e proprio, in i cui pochi tratti, di matrice espressionista, riescono a riassumere tutti i caratteri di una scena o di un personaggio, accostando colori opposti o complementari con grande abilità e destrezza. In queste opere il lavoro pittorico è costruito nel contrasto fra i colori scuri, bitumosi, e le trasparenze sottilissime, dove il colore persegue il raggiungimento di una fortissima sintesi espressiva.

Eppure la mostra, che è incentrata su nuclei diversi, appare disorganica e priva di un centro concettuale forte, concepita come è tramite l’accostamento di gruppi di opere diverse, in cui spiccano alcuni momenti pittorici felici sul progetto visto nella sua globalità: soprattutto i ritratti di piccolo formato, e il nucleo della opere tratte da una serie di immagini dell’archivio dell’ex collegio delle orfane. Bello il piccolo dittico Three Night e Three Day, che rappresenta il chiostro delle Stelline di notte e di giorno, e le due pitture che tratteggiano due orfane in mantello nero, che si stagliano sul fondo fatto di pennellate grigie e scure.

Proseguendo lungo la mostra, il tema visivo del Cristo Crocifisso diventa grido ripetuto in modo ossessivo: il Cristo in croce, simbolo dell’abbandono al momento della morte dal Dio-padre, cui si ricollega il grido dell’Anna Magnani, è ripetuto tante volte da perdere di potenza semantica; le immagini dolenti della Winehouse, e quella di Etta James con la bocca dischiusa in un canto disperato, cui è vicino concettualmente il quadro che rappresenta due donne abbracciate in un gesto materno di dolore, sono espressione femminili della sofferenza forti, ma isolate; il volto di Pasolini e quello di sua madre, l’angelico ovale del viso del Cristo del Vangelo Secondo Matteo, sono sparsi nella mostra senza la costruzione di un gioco di rimandi sostanziali.

Grande l’artista, ma per goderne appieno aspettiamo la sua prossima mostra.

Ansel Adams e la Natura viva in bianco e nero

Originariamente pubblicato su PadPad.eu.

Ansel Adams, Fallen Tree, Kern River Canyon, Sequoia National Park, California
Ansel Adams, Fallen Tree, Kern River Canyon, Sequoia National Park, California

La Natura come non l’avete mia vista, anzi come neanche pensavate potesse essere. Una sinfonia fatta di moltissimi elementi diversi all’interno di una visione perspicua del dettaglio, la cui importanza si fa fondamentale per ricostruire la visione di insieme. Dove l’insieme è il paesaggio, secondo una visione della natura che se da un lato ricorda la prospettiva scientifica dei vedutisti del Settecento, come Canaletto, dall’altro è anche una visione poetica del paesaggio. Quale paesaggio? In questo caso facciamo riferimento non alla Venezia del Settecento, nel suo febbrile rincorresi di attività produttive sullo sfondo dell’incantevole città lagunare, ma all’America delle Montagne Rocciose, quella della Monument Valley ed il Grand Canyon, o del Parco di Yosemite in California: è un paesaggio questo, che, per le sue caratteristiche, esprime forza, potenza, storia millenaria e che per noi europei incarna le caratteristiche proprie dell’America. La bellezza è tutta qui in uno scatto fotografico che, realizzato con un uso magistrale del bianco e nero, che si esprime in tutte le sue possibili gradazioni di colore, è lo strumento per fare di questa natura uno spettacolo di perfezione e purezza.

Questi sono gli elementi fondamentali che sono alla base dell’arte di Ansel Adams, uno dei maestri indiscussi della fotografia storica americana, assieme ad Edward Weston o Alfred Stiegliz, fra i primi a sperimentare le potenzialità della macchina fotografica per raccontare il mondo e le sue forme. A Modena si è appena chiusa la mostra a lui dedicata a presso la Fondazione di Fotografia. Si è trattato di una delle più importanti rassegne a livello europeo dell’opera del fotografo americano, capace di raccoglie un corpus rappresentato da 70 opere, grazie alla collaborazione eccellente con il trust americano dell’artista, e con alcuni collezionisti europei, e i galleristi americani che rappresentano l’artista.

L’esposizione rivela l’eccezionale capacità tecnica del fotografo, peraltro inventore di una tecnica fotografica chiamata sistema zonale, che, sulla base di uno studio delle modalità della luce di impressionare la pellicola, permetteva di mettere a fuoco punti diversi dell’immagine fotografica, e quindi, di cogliere la natura del paesaggio in tutte le sue più dettagliate sfumature. Queste gli permisero di fornire un ritratto del paesaggio americano cui l’occhio del fotografo guarda rappresentando in modo analitico ogni sua piccola parte, fino alla determinazione del tutto. E dove la visione di insieme culmina sempre nella rappresentazione scenografica della wilderness tipica della grande Natura americana.

Le sue doti tecniche furono poi funzionali alla creazione di un movimento chiamato gruppo f/64 che, assieme all’appoggio di Edward Weston e Imogen Cunningham, si faceva promotore, di contro al pittorialismo dominante, di una straight photography, ovvero di una fotografia intesa quale strumento di aderenza perfetta alla realtà. Infine, il suo profondo rigore morale lo spinse a farsi portatore di un corretto atteggiamento di rispetto ecologista nei confronti di quel paesaggio americano che aveva profondamente conosciuto, esplorato, guardato ed amato.

Sex and the city: Mapplethorpe in mostra a Milano

Pubblicato originariamente su globalist.it.

Robert Mapplethorpe, Tulipani, 1987
Robert Mapplethorpe – Tulipani – 1987 – © Robert Mapplethorpe Foundation

Nella fotografia Robert Mapplethorpe perseguiva la ricerca della purezza estetica e il rigore formale. In altre parole la perfezione. Ovvero, tutto quello che non c’è nella vita reale. E in particolare nella sua, una vita vissuta nella New York trasgressiva degli anni Settanta e Ottanta, in cui l’arte coincideva con l’esistenza condotta lungo i limiti della sperimentazione sessuale e delle droghe, in un ambiente in cui si mischiavano artisti, musicisti ad attori teatrali, di film pornografici e di performance. E dove tutto accadeva su un palcoscenico creativo d’eccezione quale era quello della metropoli newyorchese fra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, fucina creativa in cui convivevano i New Dada di Rauschenberg e Andy Warhol con la Factory, i Velvet Underground e i Talking Heads, la street-art in chiave pop di Keith Haring e quella in versione pittorica post-moderna di Jean-Michael Basquiat. Leggi tutto “Sex and the city: Mapplethorpe in mostra a Milano”