Chiude oggi la mostra di Herb Ritts a Palazzo della Ragione a Milano, intitolata In equilibrio, curata da Alessandra Mauro, prodotta dal Comune di Milano, Civita, Contrasto e GAmm Giunti in collaborazione con la Herb Ritts Foundation di Los Angeles.
L’esposizione, che raccoglie ben 120 fotografie del fotografo americano suddivise fra i ritratti, scatti di moda e un gruppo di foto di ricerca sul nudo, è intitolata all’idea di perfezione estetica che le foto di Ritts esprimono. I riferimenti che si ritrovano nella sua fotografia sono altrettanto classici – da Horst P. Horst, da cui prende spunto per la ricerca dell’eleganza nella fotografia di moda, fino a Mapplethorpe per il lavoro sul corpo maschile nudo, dove la luce da esterno diventa elemento atto a costruire la perfezione formale. Dalla vista delle foto in mostra, Ritts appare un fotografo classico per la ricerca sulla forma quanto sperimentatore, che prova a cercare un punto di vista inedito sulle cose, dove questo porta ad alcuni esiti notevoli, sia negli scatti di moda – ad esempio la celebre della campagna di Versace in cui l’abito nero espanso dal vento produce una forma ovale attorno sulla testa della modella – oppure in alcune foto dell’Africa, come delle giraffe con i colli incrociati. Ritts ama la luce naturale dell’estate a Los Angeles, la natura primordiale, ma le foto sono studiatissime nei mimimi particolari, per rispecchiare un’idea di bellezza che, pure nei corpi più maschili più muscolosi, è sempre frutto di una visione estetica che guarda al classico, secondo i canoni di armonia e all’equilibrio.
Oltre queste riflessioni sullo stile, per me Ritts resta il fotografo che più ha segnato l’immaginario visivo della fine degli anni Ottanta e due Novanta: non posso non ricordare l’immagine di quel giovane Richard Gere, diventato una superstar con American Gigolò, ritratto in atteggiamenti sexy sullo sfondo di un’officina con la Buick in riparazione. E chi ha vissuto quel anni non potrà cancellare dalla memoria la foto di Madonna con spalle scoperte dal giubbotto di pelle, copertina di uno dei dischi che all’epoca teneva la testa delle classifiche (True Blue che consacrò la cantante nel 1986). E dopo questo scorcio di anni Ottanta, sono venuti i Novanta, con le elegantissime campagne di moda per Versace, con tutte le supermodel dell’epoca. Alcuni momenti molto belli della sua fotografia sono proprio nei ritratti di quei personaggi, famosi, che pure ricordiamo negli eccessivi atteggiamenti dell’epoca, da lui purificati e riletti alla luce di uno stile formalmente ineccepibile, come la Cher da lui raffigurata nello stesso abito a rete strizzato del video in cui scendeva dalla passerella di una nave circondata da marinai muscolosi; o la Sinead O’Connor, che faceva dichiarazioni provocatorie in pubblico contro il papa, ritratta come una testa della statuaria classica. La sua visione nitida e precisa quasi azzera lo spazio della peggiore memoria collettiva.
Fra tutte le immagini contenute in mostra c’è uno scatto che resta più indimenticabile degli altri: è quello in cui il fotografo ritrae il gruppo di cinque supermodels, Tatjana Patitz, Christy Turlington, Naomi Campbell, Cindy Crawford e Stephanie Seymour, nude e sedute sul pavimento, a casa dell’artista nel 1989. Oltre a testimoniare il fenomeno nascente delle supermodelle, come ci ricordano i volti di quelle donne allora molto giovani, l’occhio di Ritts le raccoglie in un gruppo plastico unico, strette l’una all’altra, in uno schema che pare prelevato a più pari dalla statuaria classica. La loro bellezza, in genere molto costruita, appare senza fronzoli e in tutta la sua deflagrante semplicità. La foto è un vero e proprio inno alla femminilità declinata nei suoi aspetti più diversi, di cui ciascuna sembra essere l’incarnazione più perfetta: Cindy Crawford è la forza, la Seymour la fragilità, la Turlington l’eleganza, Naomi, la sensualità, che sono quasi elevate a caratteristiche universali del femminile. Insomma c’è tanto spazio anche per chi in quegli non c’era per innamorarsi di questa fotografia.