E’ in corso a Palazzo Reale di Milano fino a fine ottobre, la mostra – evento di chiusura della stagione artistica milanese dell’anno di Expo, Giotto L’Italia. L’ esposizione, posta sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica Italiana, promossa dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e dal Comune di Milano – Cultura, con il patrocinio della Regione Lombardia, è prodotta e organizzata da Palazzo Reale e dalla casa editrice Electa, con un progetto scientifico di Pietro Petraroia e Serena Romano.
La mostra raccoglie ben 14 opere su tavola del genio della pittura fiorentina del Trecento, attraverso prestiti eccellenti e collezioni pubbliche di grande rilievo: fra queste il Polittico di Badia dagli Uffizi Fiorentini; il Polittico Baroncelli realizzato per l’omonima cappella della basilica di Santa Croce di Firenze, oggi contenuta nel Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno; il Polittico di Santa Reparata, realizzato per Santa Maria del Fiore a Firenze e di proprietà dell’Opera, dell’Arcidiocesi di Firenze e la Soprintendenza fiorentina; il celeberrimo Polittico Stefaneschi, in prestito, in forma del tutto eccezionale, dai Musei Vaticani, all’interno della struttura di legno del 1932 progettata da Biagio Biagetti per riprodurre la forma originaria del polittico, che era composto da sette tavole. Per ottenere il prestito di quest’ultima opera, le trattative con la Soprintendenza e il museo sono state molto complesse e durate ben due anni.
L’allestimento è concepito per favorire una sorta di visione/contemplazione quasi sacrale delle opere pensata tale fare leva sugli aspetti emotivi e più spettacolari della fruizione: il visitatore si muove in uno spazio buio in cui le singole tavole emergono dall’oscurità come epifanie isolate dallo spazio e dal tempo, dove di quei polittici, che si possono ammirare nella struttura doppia del recto e del verso, si vedono splendere i colori – gli ori, le ocre e i verdi della pittura trecentesca – come la raffinatezza delle strutture lignee, di cui alcune riproducono le forme originarie concepite per gli altari dei più importanti episodi architettonici del Trecento, fra cui la stessa Basilica romana di San Pietro e Santa Maria del Fiore a Firenze.
Giotto come artista riemerge dalla mostra come grande maestro del disegno e della natura, in cui il senso del sacro è fatto di perfezione della forma quanto di intima semplicità di gesti umani ed espressioni di freschezza catturate dal quotidiano, come quello del bambino accarezza il mento della mamma, o gli angeli musicanti raccolti festosi attorno alla vergine incoronata. Dove la pittura rivoluzionaria del maestro recupera tutto il senso dell’umano che aveva perso nell’alto medioevo, e l’uomo riacquista la sua centralità attraverso un nuovo sentimento di padronanza dello spazio.
Se durante il percorso della mostra la bellezza delle opere ci assale, questo impianto espositivo lascia meno spazio ad una comprensione del genio di Giotto, che più avrebbe giovato di elementi di contestualizzazione storica delle sue più genuine scoperte pittoriche, come il ritrovato realismo contro l’immaginifico del medievale, e lo spazio contro la piattezza decorativa del Duecento, che hanno aperto le porte al rinascimento. La riscoperta di Giotto nella pittura moderna e contemporanea è appena leggibile nelle frasi di ammirazione per il maestro di alcuni pittori del Novecento come Carrà e De Chirico. Insomma, oltre a questi capolavori di inestimabile bellezza, ci sarebbe piaciuto comprendere qualche cosa di più su uno dei più grandi artisti della storia dell’arte.