Pubblicato su Forbes Italia n° 9 di luglio 2018
La tecnologia digitale è entrata nel mercato dell’arte, creando nuove opportunità d’investimento. Potrebbe ridimensionare il ruolo degli intermediari tradizionali. Affidando la certificazione dell’autenticità dell’opera alla blockchain.
L’investimento in arte non è più solo nelle mani di banche, grandi collezionisti
e gestori di fondi. L’ultima novità è la possibilità di parcellizzare l’investimento in un’opera da milioni di dollari, rendendola accessibile ai piccoli investitori. L’equivalente elvetico di eBay, la piattaforma svizzera QoQa, infatti, ha recentemente posto in vendita sul suo portale Buste de mousquetaire, un Picasso del valore di 2 milioni di franchi svizzeri, in piccole quote d’investimento.
Parallelamente, si assiste alla nascita di piattaforme dedicate all’investimento in arte che sfruttano la tecnologia della blockchain per certificare l’autenticità dell’opera. È il caso della startup Maecenas, basata a Singapore, che si propone di offrire l’acquisto di opere d’arte milionarie in piccole quote grazie anche all’uso di criptovalute, creando un proprio token, cioè un “gettone”, chiamato Art. Al momento la piattaforma accetta anche dollari, euro e sterline, ma in futuro l’investimento sarà possibile principalmente in moneta elettronica.
Secondo il report The Art Market 2.0, Blockchain e Financialisation in Visual Art, pubblicato dall’Università di Oxford e l’Alan Turing Institute, fra le opportunità che si aprono per il mercato c’è quella di renderlo più liquido, con conseguenze ancora non del tutto prevedibili. Non è un caso
se “democratizzazione” è una parola chiave usata dagli operatori digitali. In realtà, queste iniziative si propongono di ridurre il ruolo di intermediari e professionisti, come enti di certificazione, gallerie e case d’aste, che storicamente hanno sempre avuto il compito di garantire l’autenticità e stabilire il valore di mercato di un’opera.
Grazie al frazionamento dell’investimento, Maecenas si propone di realizzare un mercato elettronico i cui prezzi si formino in maniera trasparente. Secondo le parole di Tanguy Reboul, art due diligence officer della società, “l’autenticità dell’opera è garantita dall’emissione di una sorta di blockchain provenance (una catena di blocchi che ne certifica la provenienza ndr) per fare in modo che le informazioni cruciali per la verifica [della sua autenticità] non siano falsificate e cancellate”. Per Niccolò Filippo Veneri Savoia, ceo di Look Lateral, società italiana con base a Seattle, “il provenance system di un’opera (il sistema che ne traccia la provenienza ndr) deve essere costantemente aggiornato, e gli investitori potenziali possono chiedere pareri ad esperti o ulteriori certificazioni sulle opere”. In questo modo il ruolo degli intermediari non viene completamente svilito.
Il prezzo delle opere che sono in Opa (art public offer) sulla piattaforma di Look Later, Fimart (financial art market), è stabilito tramite un algoritmo che consente l’indicizzazione dello storico delle transazioni d’asta, secondo il tradizionale modello dei prezzi edonici. Il possesso dell’opera però è assicurato solo a chi possiede il 51% di essa.
Assolutamente contrario è Francesco Bonami, critico e curatore di fama internazionale. “I criteri di valutazione del valore di un’opera sono spesso individuali e legati alle logiche di una collezione”, dichiara. “Quello che fa il prezzo di un’opera non è mai quantificabile in modo matematico” aggiunge. “Al momento il sistema delle aste è, con tutti i difetti possibili, il più trasparente possibile. E poi ai collezionisti dico che il possesso e il controllo materiale dell’opera è sempre la cosa più gratificante”.