Pubblicato su Forbes Italia n° 2 di dicembre 2017
Nato l’undici settembre, molti anni prima del crollo delle due torri, sembrava destinato alla catastrofe. Invece la sua carriera è all’insegna di un successo conseguito in progetti visionari e difficili. Stefano Cagol, nato a Trento nel 1969, porta avanti un lavoro basato sulla performance e su azioni capaci di sensibilizzare il pubblico su temi complessi. La sfida è sempre quella del limite: fisico per lui, ma mentale per chi partecipa ai suoi lavori. La sua missione: scardinare stereotipi, far riflettere all’insegna della visionarietà.
Cresciuto in Svizzera in una famiglia borghese, ci confida di aver avuto difficoltà a convincere i genitori della serietà della sua scelta professionale. “Ho fatto l’artista perché questo rispondeva alla mia idea di libertà di ricerca. Se non ci fossi riuscito, forse avrei fatto lo scienziato. L’interesse per la scienza si rispecchia costantemente nella mia opera”, spiega.
Luce, energia, visibile ed invisibile sono da lui considerati strumenti di lavoro. Nel 2013 nella performance portata in giro per l’Europa intitolata The End of the Border racconta il tema del confine sotto il profilo simbolico e metaforico, dando corpo a questa linea invisibile con un fascio di luce. “In occasione di Manifesta 7 ho proiettato un primo raggio luminoso di quindici chilometri sulla città di Trento, spazzando il confine tra nord e sud. Da lì ho deciso di rendere il progetto mobile e lavorare sui confini europei”. Da Trento si è messo in viaggio con un faro da settemila watt ed è arrivato fino al confine fra Russia e Norvegia. “Ho capito la validità di quel progetto quando i russi mi hanno vietato di attraversare il confine con la luce. Ho rischiato che mi sparassero, ma sono stato soddisfatto”, dice sorridendo.
Il suo progetto più recente è The Body of Energy. “Mi interessa parlare di energia, perché ne siamo costantemente dipendenti. In condizioni normali non riesci a vederla, ma attraverso una telecamera a infrarossi è possibile visualizzarne la permanenza nella materia, laddove le nostre tracce di calore perdurano a lungo”, spiega mostrandoci sulla mappa le tappe di un viaggio che lo ha condotto a girare l’Europa su un furgone a caccia di tracce di energia. Il progetto è culminato con un tour attraverso i più grandi musei internazionali, in cui Cagol ha provocato l’interazione con il pubblico in modi poco convenzionali: “Al museo Folkwang di Essen, uno dei più importanti della Germania, ho chiesto ai visitatori di lasciare tracce del loro corpo sulle pareti del museo. I guardiani erano scandalizzati dall’affronto alla sacralità intoccabile dell’edificio. Per me la sfida più avvincente è riuscire a scardinare le convenzioni più inveterate”.
E i risultati della sua attitudine visionaria si vedono: quest’anno, fra i numerosi progetti, presenta anche una video installazione pubblica all’interno della piazza coperta del palazzo del Ministero dell’Ambiente Tedesco nel corso del COP23, il forum internazionale del clima ospitato dalla Germania.
Foto: Tridentum, 2011, un’installazione di Stefano Cagol a Trento.