Fondato nel 2015 da Jean – Gabriel Mitterand assieme al figlio Edward, come estensione di una galleria di arte contemporanea di Parigi, il parco Le Domaine du Muy, è uno dei più bei parchi di scultura contemporanea al mondo, capace di presentare di più quaranta sculture di alcuni fra i più interessanti e influenti artisti di arte contemporanea.
Il parco è una vetrina esclusiva di opere selezionate durante la stagione estiva in un territorio a due passi dalla nota meta per miliardari di Saint-Tropez. Attraverso la collaborazione con nomi eccellenti, come Simon Lamunière, ex curatore di Art Basel Unlimited, il parco, per la natura di territorio brullo e selvaggio, contraddice l’idea stessa di giardino europeo con la natura irregimentata e controllata in siepi, in cui il territorio è in dialogo con le sculture a cielo aperto. Le opere in esposizione includono lavori in prestito da collezioni private o gallerie, come alcuni lavori site-specific realizzati da artisti per il parco.
Se indubbiamente significativa è la selezione delle opere sotto il profilo collezionistico e di mercato, alcune di queste sono capaci di ingaggiare un rapporto con il territorio che è particolarmente efficace quando l’opera modifica la percezione dello spazio naturale al visitatore.
Fra i gioielli di arte pubblica che troviamo nel Domaine segnaliamo il Narcissus garden di Yayoi Kusama, opera prodotta per la Biennale di Venezia del 1966 che ritorna in esposizione, le cui sfere di alluminio collocate sull’acqua creano un effetto di moltiplicazione dello specchio di narciso. Segnaliamo poi l’opera di Subodh Gupta, A Giant Leap of Faith, colonna infinita brancusiana di secchi usati dalla popolazione indiana nelle cucine tradizionali, inno alla fede semplice degli umili. Impossibile poi non includere fra i capolavori del parco il lavoro di Dan Graham, grande maestro del concettuale americano degli anni Sessanta, di cui ritroviamo l’ambigua struttura a metà fra l’abitabile e il monumento Sculpture or Pavillion del 2015.
Fra i casi di opere che producono una vera modificazione della percezione del giardino ricordiamo il wall painting di Claudia Comte, (128 squares and their demonstration, 2015), che realizzato su un muro in intonaco di 3 metri per 6 con pattern visivi, offre allo spettatore la sensazione illusoria di essere nello spazio chiuso di una stanza.
L’opera di Monica Bonvicini (Stonewall 2008), fatta di cinghie, vetri di sicurezza spaccati, dà al visitatore la sensazione illusoria di trovarsi in un terreno di esercitazione militare.
Il lavoro di Carsten Höller, la cui giostra in movimento, Black Clown Carrousel, diventa un elemento capace di dare un significato diverso al paesaggio; stesso agente modificatore della percezione dell’ambiente è la scultura di Gianni Motti, che individua una vera propria strada nel cuore della parco, in bilico in fra due bivi esistenziali, Success or Failure. Il mezzo busto in marmo nero di Claire Fontaine (Bob, 2010), oltre ad essere un monumento ironico ed inutile ad un punchball, giocando con i materiali e gli elementi simbolici, ci restituisce la sensazione della piazza nel cuore più brullo del bosco.
Meno forti ma altrettanto efficaci sono quelle opere in cui il rapporto con il paesaggio è tale ad ottenere una fusione completa fra lavoro e territorio: nel caso dell’installazione di sedie di John Armleder, (Untitled Four chairs,1986-2014) il ready made di sedie di legno sembra perdersi nelle fitte maglie del bosco. Ispirata in senso stretto al tema del rapporto fra natura e artificio, è il sasso dipinto ad acrilico di Dan Colen (Red M&M no. 7, 2014), in perfetto accoppiamento con lo spirito pop della scultura in ferro colorato di Keith Haring, più che oggetto scultoreo segno grafico nel paesaggio, che gioca con la sua forma bidimensionale.