Pubblicato originariamente su LuxRevolution.
Sulle tracce della memoria di Claudia Gian Ferrari, leggendaria gallerista milanese morta lo scorso 24 febbraio, abbiamo visitato Villa Necchi Campiglio, storica dimora nel centro di Milano, oggi proprietà del FAI, in cui alberga un legato di dipinti della collezione della gallerista.
Villa Necchi Campiglio è una dimora storica collocata al centro di Milano, nata come residenza principale degli industriali nel campo delle materie prime Necchi Campiglio, realizzata da Pietro Portaluppi negli anni Trenta (dal 1932 al 1935). L’edificio, che ci aspetteremmo nel solito citazionismo di stili europei, è una moderna residenza collocata elegantemente al centro di un giardino, affacciata sullo spazio arioso occupato dalla piscina e dal campo da tennis. A guardarla, dotata di geometrie snelle ed eleganti in stile razionalista, è un unicum per la Milano architettonica del tempo, che fa pensare più alle case con cascate di Frank Lloyd Wright che a casa Bagatti Valsecchi di via Manzoni.
Perfettamente armonizzata con il contenuto rappresentato dalla collezione Gian Ferrari, dedicata al Novecento Italiano, la villa è un piccolo gioiello anche per chi, scettico sulla modernità della cultura di regime, troverà in questa costruzione più elementi del dinamico spirito delle avanguardie europee, che quelli di una temperie in bilico fra primitivismo e ritorno all’ordine.
La nostra visita di Villa Necchi parte dal vestibolo principale, dove siamo salutati da tre splendide opere della collezione della compianta Gian Ferrari. Vi troviamo un’opera di grandi dimensioni di Sironi (La famiglia del Pastore, 1929, olio su tela cm 167 x 210) e una grandiosa scultura di Arturo Martini, L’amante morta (del 1921, in gesso policromo, cm 105 x 76 x 92) collocata scenograficamente sotto lo scalone, decorato con guizzanti geometrie decò. Ai piani bassi la villa presenta gli episodi più interessanti sotto il profilo architettonico e artistico: non solo vi è ospitata tutta la collezione Gian Ferrari, ma anche vi si trovano gli ambienti più originali progettati dal Portaluppi, in cui un gusto elegante per l’antico – in parte dovuto agli interventi successivi dell’architetto Buzzi e alle scelte del mutato gusto dei padroni di casa – si integra con il disegno, attenuandone il rigore razionalista in favore di un tocco di frivolezza mondana.
Le sale più interessanti al piano inferiore sono la biblioteca e la veranda. La prima delle due vede un intelligente progetto integrato fra scaffali di libri e le vetrine, racchiusa nel tracciato geometrico dei soffitti in stucco, che si muovono liberamente fra il razionalismo e l’art decò. Nel salotto a seguire, in cui domina lo stile Luigi XV e XVI degli arredi, troviamo le opere più belle della collezione Gian Ferrari, fra cui un Oreste ed Elettra di Giorgio De Chirico (anno 1923, tempera e uovo su tela, cm 63 x 48), una splendida Natura Morta di Morandi.
La veranda è la camera più originale, alla quale si accede dal salotto tramite una splendida porta scorrevole in ottone diviso in blocchi geometrici rettangolari, che fa apparire l’ambiente un forziere chiuso dall’interno. L’effetto è puramente illusorio, laddove al contrario la stanza è completamente trasparente all’esterno, grazie ad un sistema di vetrine a doppi vetri che danno alle piante in esse contenute non solo la possibilità di prendere luce, ma di celare e rivelare la camera agli astanti del giardino. Sobri sono i motivi geometrici del pavimento in marmo, perfettamente calibrati con le profilature ramate delle finestre e le cronici dei tavolini. E non dimentichiamo le belle opere, fra cui una Natura morta au masque di Gino Severini, e l’Idylle marine di Alberto Savinio (del 1931, tempera all’uovo su tela, cm 73,3 x 60) e la scultura in bronzo di Adolfo Widt (Il puro folle, 1930, bronzo, cm 155 x 90 x 62), mai in contrasto con le eleganti ciniserie color blu oltremare.
Al piano inferiore nell’altro lato della casa, attraversiamo il fumoir nello stile settecento del camino in marmo verde e delle suppellettili, che è più interessante ai nostri occhi per i bozzetti su carta alle pareti della collezione Gian Ferrari. Oltre la lussuosa sala da pranzo, arredata di arazzi di Bruxelles del XVI e XVII secolo, troviamo una cucina modernissima con lavabo in alluminio e pavimento in fibre sintetiche, con un tocco di praticità che già guarda agli anni Sessanta.
Ultima camera ai piani inferiori da segnalare è lo studio di Angelo Campiglio, arredato da uno scrittoio napoleonico da viaggio perfettamente richiudibile in tutte le parti, e corredato delle belle opere di de Pisis (di cui, Le tre ostriche sull’impiantito, 1932, olio su tela, cm 45 x 60) e di Casorati.
Al piano superiore, la passione per l’arte si affievolisce in favore dell’attenzione per i dettagli della casa: ci incuriosiscono gli armadi e le cappelliere e ci facciamo incantare dai lussuosi bagni gemelli, di cui uno annesso alla camera padronale e l’altro alla camera di Gigina Necchi. Entrambi sono rivestiti di marmi arabescati grigi e dotati di un vano doccia affiancato alla più tradizionale vasca da bagno. Anche qui un guizzo di brillante modernità.
Alla semplicità monacale della camera degli ospiti, si contrappone la sontuosità del salotto, in cui troviamo un ultimo oggetto di culto per gli amanti dell’arte: a sorpresa compare fra gli arredi sontuosi e le ceramiche settecentesche un’opera di Canaletto proveniente dalla Collezione di Alighiero ed Emilietta de’ Micheli. Si tratta di un grande classico dell’autore, che ha per oggetto la tipica veduta del Canal Grande con la Chiesa della Salute sullo sfondo, dal titolo L’ingresso al Canal Grande con la chiesa della Salute (dell’anno 1731-32, olio su tela, 53 x 70,5 cm).
Fotografie © Giorgio Majno