Originariamente pubblicato su ThinkLux.
Quattro passi a New York, capitale dell’arte contemporanea da sempre, dove per chi fosse venuto a cercare segnali di crisi, troverebbe, al contrario, alcune interessanti (e gradite) risposte.
I musei. Un ipotetico giro nella New York dell’arte contemporanea dovrebbe necessariamente partire dal MOMA. In questo autentico tempio dell’arte moderna e contemporanea, creato con obiettivi di eccellenza assoluta in termini di acquisti, si trova ancora oggi una collezione di opere a dir poco sbalorditiva, comprendente lavori come Le demoiselles d’Avignon di Picasso, e La Danse di Matisse. Chiunque resti incantato da questi capolavori non potrà non provare uno stimolo nel confrontarli con la pittura di un controverso maestro dell’arte contemporanea, Martin Kippenberger, tedesco, classe 1953, qui presente con una mostra proveniente dal MOCA di Los Angeles, The Problem of Perspective.
Tutti coloro che avevano apprezzato la retrospettiva dedicata all’artista dalla Tate Modern di Londra nel 2006 troveranno con piacere alcuni pezzi già presenti in quella mostra, come la grandiosa installazione dal titolo The Happy end of Franz Kafka’s Amerika, del 1994. Oltre ai lavori oggettuali, si possono ammirare in mostra la serie dei dipinti Lieber Mahler, mahle mir, finalmente assieme, e una serie degli autoritratti degli anni Novanta, in cui la figura dell’artista è polemicamente sottoposta a dura prova critica. Lo si ami o no, è un artista che difficilmente lascerà indifferenti.
Dal MOMA il passo successivo è per il Whitney Museum, luogo culto dell’arte contemporanea americana d’avanguardia. All’interno dell’aspra architettura di Marcel Breuer, la mostra di maggior rilievo è la retrospettiva dedicata all’americana Jenny Holzer, dal titolo Protect Protect, che include una serie di opere comprese fra il 1977 e il 2001.
In questa mostra la Holzer utilizza come base delle installazioni luminose i testi segreti di documenti del governo americano sulle operazioni in Iraq. La matrice politica dei lavori, che in altri artisti si risolverebbe in un peso, arricchisce invece di spessore una ricerca già ricca di risvolti psicologici e concettuali. La scabra sobrietà del museo di Breuer sembra valorizzare alla perfezione le installazioni, svolte fra movimento dinamico, tecnologia e ricerca spaziale.
Per concludere il tour museale, una passeggiata al Guggenheim è d’obbligo. la La leggendaria Rotunda di Richard Lloyd Wright, oltre alla personale dedicata a Emily Jacir, vincitrice dello Hugo Boss Prize 2008, è occupata dalla mostra intitolata The Third Mind, che indaga le influenze della cultura giapponese sull’arte contemporanea americana, dagli anni Sessanta ad oggi.
Se meno interessante è la rassegna sulle generazioni recenti (i cimbali tibetani Ann Hamilton sono perfetti per esaltare la spettacolarità della Rotunda e per creare stupore nei numerosi bambini in visita), pregante è invece la sezione dedicata agli anni Sessanta e Settanta. La parte migliore della mostra è dedicata al movimento Fluxus, che sorprende non tanto per la presenza di pezzi storici di Yoko Ono e di Nam June Paik, ma per quelli di La Monte Young e di John Cage, di indubbia rarità.
Le gallerie. Fare un giro per le gallerie private è, a New York, estremamente agevole. Le migliori sono quelle ubicate nel quartiere di Chelsea, dove la concentrazione è tale che le guide attestano la presenza di 250 spazi. Di fronte ad un quartiere che per qualità e quantità offe moltissime proposte, segnaleremo solo le chicche più interessanti.
Imperdibile è la mostra di Sophie Calle alla Paula Cooper Gallery, dal titolo Take Care of Yourself, in cui si ripropone, in maniera integrale, il lavoro che l’artista aveva presentato alla Biennale di Venezia del 2007 nel Padiglione Francese, a lei interamente dedicato. La realizzazione, adattata allo spazio della galleria, fa guadagnare al monumentale progetto in termini di leggibilità e leggerezza. Interessante poi il lavoro di Ceal Floyer per la 303 gallery, in cui l’analisi dell’ambiguità del linguaggio si estende a toccare il rumore, producendo un effetto ambiguo fra il monumentale e l’ironico. La galleria Yvon Lambert di Parigi propone, invece, una collettiva dal titolo Espèces d’espaces. Il titolo della mostra, ispirato allo scrittore francese George Perec, presenta una riflessione sull’interazione fra opere e spazio, attraverso una selezione di opere assolutamente non banali di Jonathan Monk, di Louise Lawler, e di Lawrence Weiner. Fuori dai tradizionali schemi di mercato è poi la personale dell’iperrealista Duane Hanson, da Van De Weghe.
Saltando a piè pari la gettonatissima mostra di Picasso alla Gagosian gallery, passeremo alla James Cohan Gallery, dove si trova una splendida retrospettiva dedicata a Nam June Paik, dal titolo Nam June Paik: Live feed 1975-1994. Di fronte ad una rassegna che include pezzi tutti dotati di qualità museale, non possiamo astenerci dal segnalare il lavoro dal titolo Beuys Voice, del 1990.
A fronte delle poco interessanti mostre in celebri gallerie – come la mostra di Thomas Knobholt da Tony Shafrazi, o quella di Clay Citter da Sonnabend – una sorpresa è la personale di Richard Tuttle alla galleria Pace & Wildenstein, dal titolo Walking on air. I pezzi, realizzati su bande parallele di tessuto, direttamente installati a parete con puntine da disegno, sorprenderanno per una liricità a cavallo fra le bandiere e le vele, che quasi si strizza l’occhio alla migliore tradizione dell’astrattismo americano.