Originariamente pubblicato su PadPad.eu.
La Natura come non l’avete mia vista, anzi come neanche pensavate potesse essere. Una sinfonia fatta di moltissimi elementi diversi all’interno di una visione perspicua del dettaglio, la cui importanza si fa fondamentale per ricostruire la visione di insieme. Dove l’insieme è il paesaggio, secondo una visione della natura che se da un lato ricorda la prospettiva scientifica dei vedutisti del Settecento, come Canaletto, dall’altro è anche una visione poetica del paesaggio. Quale paesaggio? In questo caso facciamo riferimento non alla Venezia del Settecento, nel suo febbrile rincorresi di attività produttive sullo sfondo dell’incantevole città lagunare, ma all’America delle Montagne Rocciose, quella della Monument Valley ed il Grand Canyon, o del Parco di Yosemite in California: è un paesaggio questo, che, per le sue caratteristiche, esprime forza, potenza, storia millenaria e che per noi europei incarna le caratteristiche proprie dell’America. La bellezza è tutta qui in uno scatto fotografico che, realizzato con un uso magistrale del bianco e nero, che si esprime in tutte le sue possibili gradazioni di colore, è lo strumento per fare di questa natura uno spettacolo di perfezione e purezza.
Questi sono gli elementi fondamentali che sono alla base dell’arte di Ansel Adams, uno dei maestri indiscussi della fotografia storica americana, assieme ad Edward Weston o Alfred Stiegliz, fra i primi a sperimentare le potenzialità della macchina fotografica per raccontare il mondo e le sue forme. A Modena si è appena chiusa la mostra a lui dedicata a presso la Fondazione di Fotografia. Si è trattato di una delle più importanti rassegne a livello europeo dell’opera del fotografo americano, capace di raccoglie un corpus rappresentato da 70 opere, grazie alla collaborazione eccellente con il trust americano dell’artista, e con alcuni collezionisti europei, e i galleristi americani che rappresentano l’artista.
L’esposizione rivela l’eccezionale capacità tecnica del fotografo, peraltro inventore di una tecnica fotografica chiamata sistema zonale, che, sulla base di uno studio delle modalità della luce di impressionare la pellicola, permetteva di mettere a fuoco punti diversi dell’immagine fotografica, e quindi, di cogliere la natura del paesaggio in tutte le sue più dettagliate sfumature. Queste gli permisero di fornire un ritratto del paesaggio americano cui l’occhio del fotografo guarda rappresentando in modo analitico ogni sua piccola parte, fino alla determinazione del tutto. E dove la visione di insieme culmina sempre nella rappresentazione scenografica della wilderness tipica della grande Natura americana.
Le sue doti tecniche furono poi funzionali alla creazione di un movimento chiamato gruppo f/64 che, assieme all’appoggio di Edward Weston e Imogen Cunningham, si faceva promotore, di contro al pittorialismo dominante, di una straight photography, ovvero di una fotografia intesa quale strumento di aderenza perfetta alla realtà. Infine, il suo profondo rigore morale lo spinse a farsi portatore di un corretto atteggiamento di rispetto ecologista nei confronti di quel paesaggio americano che aveva profondamente conosciuto, esplorato, guardato ed amato.