Originariamente pubblicato su Globalist.
Un occhio di formato gigante nell’atto meccanico di sbattere la palpebra: questa è una delle immagini che potrebbero sintetizzare il contenuto della mostra Parasimpatico, la personale dedicata a Pipilotti Rist dalla Fondazione Trussardi. Alloggiata nello spazio dell’ex Teatro Manzoni di Milano, riaperto per l’occasione, dell’artista svizzera la mostra raccoglie lavori vecchi e nuovi, offrendo una retrospettiva sulla sua opera, mai vista in Italia.
Se per Pipilotti Rist il compito dell’arte è di contribuire all’evoluzione, incoraggiare la mente, garantire una visione libera dai cambiamenti sociali, riunire energie positive, creare sensualità, riconciliare ragione e istinto, ricercare possibilità e distruggere i clichès, il video ne è lo strumento privilegiato, in virtù della capacità intrinseca di quel mezzo di racchiudere pittura, tecnologia, linguaggio, musica, movimento, stupidità, immagini fluttuanti, poesia, commozione, premonizione della morte, sesso e amichevolezza. E questo nelle opere di Pipilotti, appare assolutamente vero: i suoi video parlano di natura, di sesso, di femminilità, di angoscia, secondo un linguaggio che è più vicino a quello dei sogni e dell’inconscio che a quello razionale, e la cui comprensione passa per un sistema di pensiero che non è tanto logico, quanto intuitivo. Come Leibniz faceva riferimento all’appercezione, quale forma di percezione dotata di consapevolezza, caratteristica propria degli uomini rispetto agli animali, così lo spettatore ha l’impressione di percepire i contenuti delle opere della Rist secondo una forma di consapevolezza intuitiva. Come se l’arte di Pipilotti viaggiasse al livello di comprensione del nostro sistema nervoso. Quello appunto, Parasimpatico.
La mostra si apre con un’installazione-lume all’ingresso ed una macchina che produce le bolle di sapone ai piedi della scalinata; dalle opere oggettuali siamo immessi nello spazio del cinema e quindi, direttamente nella video arte di Pipilotti, ove l’allestimento sfrutta positivamente gli elementi caratteristici del teatro per fondersi con la video-arte dell’artista svizzera. Sullo scalone principale in doppio strato di immagini di un double channel video, collocato sue due livelli spazio-temporali consecutivi, si trova Lobe of The Lung, video il cui tema è il rapporto fra uomo natura. Lo spettatore si identifica con il punto di vista di Pepperminta, personaggio fiabesco alter ego dell’artista, mentre conduce un viaggio incantato nel paese delle meraviglie della Natura. L’esplorazione si trasforma ben presto in identificazione vera e propria, fino alla riconduzione allo stato naturale ferino.
A seguire nel foyer del Teatro si specchia la video proiezione di Sip My Ocean, un video in cui la Rist parla del tema del ricordo e della memoria personale, attraverso la metafora del fondo dell’oceano e degli oggetti che qui vi spargono, giocando con la telecamera sopra e sotto l’acqua, in immagini di grande incanto e fascinazione. Sul sottofondo la sua voce di cantante volutamente stonata e contorta intona le note ipnotiche della canzone Wicked game che, in un arrangiamento elementare, comunica la sensazione del viaggio sottomarino.
Infine, passando per le toilette, parimenti decorata di video, approdiamo alla sala principale, in cui si trova la celebre opera Open My Glade, proiettata a tutto schermo. Questa installazione, che in passato aveva trovato calzanti collocazioni facendosi episodio di arte urbana, – quando fu proiettata sui maxischermi di un grattacielo a Times Square – ritrova qui la sua froma di fruizione più tradizionale, quando è proiettata sullo schermo di un cinema. In questo video, – in cui, alludendo al sentimento di prigionia di una donna in un grattacielo, cita episodi di body art estrema, rappresentandosi come un animale in gabbia nel tentativo di forzare i limiti dello spazio del video in cui è costretta – la Rist costruisce una formula abilissima di narrativa ipnotica attraverso la musica, e l’assimilazione del suo viso deformato ad altrettante visioni astratte.
In una mostra in cui contenitore e contenuto sono ottimamente armonizzati, fra giocattoli e opere maestose, di Pipilotti c’è n’è abbastanza da innamorarsene.