Il diario che si fa arte

Pubblicato su FPmagazine.eu  nel febbraio 2017.

Fondazione Prada apre l’Osservatorio, spazio dedicato alla fotografia collocato in uno degli edifici al centro della Galleria Vittorio Emanuele II a Milano, che dai suoi due piani offre una splendida vista sulla cupola in ferro e vetro dell’architetto Giuseppe Mengoni. La mostra di apertura è Give Me Yesterday, curata da Francesco Zanot, ed è dedicata al tema del diario personale riletto attraverso quattordici autori appartenenti alle giovani generazioni, che cresciuti nell’era di Facebook e dei blog, sembra non possano quasi prescindere da questo genere fotografico.

Pur rifacendosi a modelli eccellenti come Nan Goldin e Richard Billigham, per la generazione post anni Duemila il diario è la naturale portata di una cultura digitale che ha come oggetto ripetuto e ossessivo il tema del , oggetto di sguardo costantemente in bilico fra narcisismo e voyerismo. La carrellata di artisti presentata da Zanot vede alcuni nomi che sono già delle superstar della fotografia contemporanea, come Ryan McGinley e i suoi ritratti di gioventù selvaggia fra spontaneità e messa in scena, assieme ad alcuni interessantissimi esordienti.

A sinistra: Melanie Bonajo, Thank You for Hurting Me I Really Needed It, 2008-2016. Immagine della mostra Give Me Yesterday Fondazione Prada Osservatorio, Galleria Vittorio Emanuele II, Milano. 21 dicembre 2016 – 12 marzo 2017. © Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti/Courtesy Fondazione Prada.

Fra questi alcuni si fanno notare per brillantezza, come la blogger cinese Weng Ling, dallo stile ispirato a uno humor surrealista, riletto alla luce di un linguaggio figurativo pop. Vicino alla lezione di Nan Goldin per una capacità innata di abbattere la barriera fra soggetto e spettatore, è Leigh Ledare, quarantenne di Seattle, che ha elevato a oggetto privilegiato del suo diario personale la madre, di cui racconta anche aspetti della più intima vita privata, trasgredendo qualunque forma di taboo familiare. Il tema della madre ricorre anche nel lavoro di Lebohang Kanye, artista sudafricana che utilizza del materiale fotografico dell’archivio materno per mettere in discussione l’evoluzione, o involuzione, del ruolo femminile nel mondo di oggi.

A sinistra: Ryan McGinley, Gloria, 2003. Immagine della mostra Give Me Yesterday Fondazione Prada Osservatorio, Galleria Vittorio Emanuele II, Milano. 21 dicembre 2016 – 12 marzo 2017. © Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti/Courtesy Fondazione Prada.

Un lavoro che fa uso ampio dell’autoscatto, rifacendosi alla tradizione storica di Cindy Sherman, è quello di Melanie BonatoThank you for hurting me, in cui l’artista si è fatta un selfie tutte le volte che l’hanno fatta piangere nell’arco di dieci anni, un lavoro in cui tempo della vita e flusso tecnologico si sovrappongono l’uno sull’altro. Infine segnaliamo il lavoro in polaroid di Irene Fenara, che fotografa persone legate alla sua cerchia, secondo distanze numeriche fisse, che corrispondono a posizioni precise di una geografia tutta emotiva e personale.

Antonio Rovaldi dalla serie Orizzonte in Italia, 2011-2015. Immagine della mostra Give Me Yesterday Fondazione Prada Osservatorio, Galleria Vittorio Emanuele II, Milano. 21 dicembre 2016 – 12 marzo 2017. © Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti/Courtesy Fondazione Prada.

Più classico nell’impostazione del viaggio in Italia e per il dialogo che crea con lo spazio è il lavoro di Antonio Rovaldi, che installa lungo un’ideale linea dell’orizzonte diverse piccole immagini di orizzonti da lui scattate, giocando con il senso del finito e dell’infinito. Le giovani generazioni esprimono un rapporto disinvolto con l’universo dell’immagine, che Zanot intuisce e valorizza, e se la fotografia, entrata a tutto campo nella vita digitale quotidiana, perde l’aura del momento perfetto dello scatto, tramonta anche l’ottica del cadre classique: alcune delle fotografie, che alludono al flusso ripetitivo tipicamente social, sono presentate sotto forma di affiches attaccate a parete senza soluzione di continuità, o in video in cui le immagini scorrono in modo interattivo. Se la mostra voleva indagare le implicazioni culturali e sociali della produzione fotografica attuale e della sua ricezione centra quindi pienamente il suo obiettivo.